Sguscio noci sul tappeto
e sporco le scritte luminose che indosso come copricapo.
La città non fa per me,
mi aspira e mi starnutisce via quando si ammala.
Esco dalle scatole dove mi deposito
e mi cospargo di nuvole le guance.
Mi taglierò la barba per darmi una ragione
e i tuoi sguardi addolciranno i miei rossori.
Starò seduto sul serpente in cima al colle
fisserò i portici toccarsi in danze sessuali.
La mia masturbazione avrà il suo lieto fine
sguainerò la spada contro damigella solitudine.
E solo quando getterò l’ancora
saprò che il mio porto starà bruciando d’infamia,
salperò verso i confini più scuri che potrò intravedere,
sin da bambino amavo il nulla, e sapevo che il nulla sarebbe stato.
Ave a te, o fine.
Narrerò di cose gialle e di altre verdi
che solo queste pupille sapranno mangiare.
Capirò io domani. Capirete voi il giorno dopo.
Mi scuso e mi perdono.
Faccio da me e perdo a questo vostro gioco.