Evanescente
come le rughe distese sul mio viso
presagio di un domani a mo’ di lettera in una bottiglia
nello sterminato cullarsi dell’oceano.
Rimane emblematico il frastuono delle voci che pian piano si assottigliano
e si sfasciano in una cornucopia di squallidi applausi in catene di montaggio.
Automi, luridi automi!
Fasullo che tutto scorra, falso ciò che dice l’uomo comune
ignobile e feticcio l’uso ombroso di squallide orge di curiose parole.
Appare tristemente vero che io stia nel mezzo
fermo mentre tutto appassisce in preda a convulsioni:
brucia la folla!
Un’imperativo che si tramuta in fervente desiderio.
Saper mentire è un diritto che si perde invecchiando
ripeto al mio sospirare ferito dal troppo cadenzare.
Magnifico spergiurare sobrietà
farsi crescere le illusioni e vederle crollare come un castello di carte,
non sono io il demonio, no!
È la vita che mastica mefistofelica i nostri fegati ammassati nelle grigie città
perché siamo tutti fetidi
ipocriti
vuoti
spenti
blasfemi
cristi in croce
creduloni
inetti e sconsolati
umilmente assertivi
estranei perfino per noi stessi
e fottutamente assatanati di quel vento di sospetto che sussurra al Nero grande e grosso che teniamo dentro
viscerale squarcio dell’inferno
lingua che di rabbia sanguina;
che le nocche s’irrigidiscano pure
e si dica senza vergogna che tutti viviamo
solamente
di malcelato cinismo.