Combé.
Chiama il neon assordante nei tuoi timpani,
un mostro nella testa ti divora quel che resta della milza
salivazione è metà del resto della tua vita,
assaporati a poco a poco
sta scritto sulla porta di un bordello.
Accecato nel buio di incubo
sfatto
falso
e casto.
Combé.
Squilla la memoria che ti appanna la vista
sul chi eri ti sei posto sul chi va là
avanti a te sgorga il cielo che vende stelle alle puttane.
Abbi coraggio di provare gioia
mentre ti accarezzi volgarmente.
Accanto ti sospirano i taxi come squallide sveltine
negli anni 50 ancora in bianco e nero.
Credimi
che Dio mi fotta!
Combé.
Mormora l’asfalto di Seoul
ridacchia il vento alle tue spalle
quando la camicia havana ti s’impregna del sudore;
pensi amaro e bestemmia il cuore.
Tutto ansima se ci rifletti bene,
un flash che t’immortala
è il tuo epitaffio.
Dice un vecchio che si regge sul bastone
che non vuol esser ricordato;
saggio,
saggio figlio di puttana.
Combé.
Hai mai visto i fuochi d’artificio?
Non puoi mentire, lo sai che non è vero,
eri solo e stanco nell’angolino del tuo nirvana
a scrivere sui muri
i numeri della cabala che s’intrecciavano con i suoi maledetti seni.
Nulla appare una buona idea quando bevi poco,
noiosa sobrietà,
che scola il sangue dell’umanità dalle proprie viscere.
Nullità!
Fa solo rima con banalità.
Combé.
Rabbia mi freme nelle tempie
perché mi guardi fatiscente notte illuminata dalle insegne colorate?
Vago storto, sporco dentro
un grasso Buddha sdraiato sulla roccia
giudica coi suoi occhi fissi e spenti,
vorrei piangere lacrime di coccodrillo
ma a chi beve questo non pare esser concesso.
Mea culpa, mea culpa.
L’anima sviene
una morsa si aggrappa alla gola,
il cazzo ti gonfia i pantaloni,
hai riscoperto l’ego mio amico,
non te ne vanti
che già te ne sei pentito.
Combé.
Sposami, sposami stato di euforia!
Sventrami la mente
mentre pulsano i disagi
i timori e gli enfisemi notturni.
Respiro forte per ricordare al mondo
che anche sfatto io ci sono,
esisto ne son convinto!
Tutto il paese grida e mi scatto una foto
mi immortalo nella bara di una Polaroid,
soffio, soffio via quegl’ultimi attimi
cadendo all’indietro
cullato da sentimentale desiderio
pregando per un artificioso lieto fine.
Combé.
Vorrei contare quanti miei soffi stanno sulla tua schiena,
assaporare la tua carne bruciare a contatto con la mia
ricordare mentre ci si trasforma in un domani.
Le dita che lievi abbracciano le labbra
gli occhi che sfiorano l’amplesso.
È sognare il confine tra la morte e la vita
nel buio della tua mente
sei il mio angelo salvatore.
Per una notte sola voglio credere ai miracoli.
Combé.
Luci assordanti.
Combé.
Vivo nel vortice,
felice.
Combé.
Cos’è la felicità
se non idiosincrasia?
Combé.
Partire ed arrivare
in un solo attimo,
un po’ tenebroso.
Combé.
Tutto diviene più confuso:
quelle voci
dove sono
e dove vado.
Poi mi scorgo in uno specchio,
sembro io.
Ma non lo sono.
Alla tua salute chiunque tu sia,
amabile tricheco.
Combé.