Prendi il tempo e fanne un gran bluff
come fruscio lieve
– come diavolo si potrebbe fare –
non chiederlo mai
ma infrangersi come palpebre
a creare scintille
che oltre un viso rinato
odora di libertà di essere
profuma di spirito e di semplice
grave e sfacciata
tranquillità
dal buio d’orata
con malcelata e sorridente unicità
fin all’intravedere dentro e fuori
come un tutt’uno.
E quel spesso e denso e inciso e fiammante guscio vuoto
a terra,
e rialzato l’io e il me e quel mio eros.
Si! A quel tutt’uno
affido il mio nome.
Il mio nome,
claustrofobico,
in volo su di sé
fra uno sguardo spesso come fiamme innocue.
Il mio nome è perdono al suo interno,
tramortito dalle sue viscere.
Il mio nome
è il tutt’uno,
tutto il dannato
e bellissimo
azzurro
tutt’uno.
La cosa più imperfetta che si avvicini alla perfezione
il mio nome,
in alto fra i tuoni
è il perfetto uno,
intero
indivisibile
pronunciabile
visibile al tocco della mia mano che si chiama.
Uno.
Io.